La risposta al male e il modello della giustizia riparativa

29.01.2022

«Non c'è pace senza giustizia, non c'è giustizia senza perdono», così il Sommo Pontefice San Giovanni Paolo II iniziò il suo intervento per la 35° Giornata mondiale della pace. Pace che oltre a quella tra le Nazioni del mondo, si riferisce anche a quella tra i singoli soggetti, poiché, come ricorda il Magistero che la Chiesa testimonia: «il male non ha l'ultima parola nelle vicende umane».

Umanamente, in presenza di un grave danno o dolore arrecatoci, come ad esempio il furto di un bene o, in estremo, l'omicidio di una persona a noi cara, il dolore - conseguenza del male ricevuto - prende il sopravvento sulla persona permettendogli solo di pensare a quanto accaduto.

«Se tutto rimanesse relegato al peccato saremmo i più disperati tra le creature», affermò Papa Francesco durante il Giubileo della Misericordia, aggiungendo che: «dobbiamo anteporre la misericordia al giudizio». Parole, queste, che ci permettono di intuire quale sia lo sguardo dell'attuale Pontefice, in riferimento alla pena, strumento ultimo del giudizio. Uno sguardo già assunto dai suo predecessori: ovvero, "ampio" poiché rivolto sia alle vittime che ai carnefici, e di per se anche "laico" poiché rivolto sia ai credente che ai non credenti.

Vi è un presupposto ermeneutico che, già a partire da San Giovanni XXIII, guida la visone della Santa Madre Chiesa, e dei fedeli cattolici, sul diritto penale interno ed esterno.

Il Magistero condanna il male - basta leggere ad esempio il CCC - ma non condanna mai la persona, che se pur colpevole conserva la sua dignità. Tuttavia, diventa fondamentale non confondere l'errore con colui che lo commette, come ricorda il giudice della Corte Costituzionale Francesco Viganò quando dice: «la persona non è il suo reato», riprendendo per un verso, ciò che il "Papa buono" scrisse in Pacem in terris: «L'errante è sempre ed anzitutto un essere umano e conserva, in ogni caso, la sua dignità di persona. Inoltre in ogni essere umano non si spegne mai l'esigenza di spezzare gli schemi dell'errore per aprirsi alla conoscenza della verità».

La meditazione sulla giustizia della pena è immagine della centralità che assume, nella storia della Chiesa, la questione del giudizio divino, a cui si accompagna il concetto di misericordia, tema quest'ultimo caro anche a Papa Francesco, il quale si è focalizzato molto sulla "possibilità di cambiare vita" e sul "reinserimento sociale" in una sua omelia in San Pietro: «Tutti abbiamo la possibilità di sbagliare: tutti. L'ipocrisia fa sì che non si pensi alla possibilità di cambiare vita: c'è poca fiducia nella riabilitazione».

A prescindere dalla trasgressione commessa non si perde, come già affermato, la dignità umana, in quanto siamo stati creati ad immagine del Padre. Un caposaldo, quello della dignità dell'individuo, universalmente condiviso da varie religioni e da diverse tradizioni e culture giuridiche.

Del resto, la misericordia di Dio inizia il suo operato quando l'uomo prende coscienza del crimine commesso, che lo porta al pentimento e, successivamente, alla necessità della riparazione anche civile.

Se è vero che, come disse il Sommo Pontefice Benedetto XVI: «il perdono non sostituisce la giustizia», ciò non sta a significare che il perdono assuma un valore meramente privatistico in quanto diversi casi di giustizia riparativa mostrano, nell'azione pratica, come il gesto del perdonare diviene componente decisiva nei processi giudiziari. Quindi, il focus del discorso ora si sposta sul tema della giustizia riparativa, argomento assai presente nei discorsi di Papa Francesco.

La riflessione sulla giustizia in Francesco si muove intorno a due postulati, che sono stati enunciati a partire dal suo discorso del 2014 alla delegazione dell'Associazione internazionale di diritto penale, come già detto dai suoi precedessori: 1) la "cautela in poenam", secondo cui la pena deve rappresentare l'ultima azione; 2) il "primatum pro homine", cioè i compiti che il diritto penale deve svolgere nei confronti dell'individuo.

In questo momento storico, uno dei pericoli esposti da Francesco è quello del "populismo penale": «attraverso la pena pubblica si possono risolvere i più disparati problemi sociali, come se per le più diverse malattie ci venisse raccomandata la medesima medicina».

Già nel maggio dello stesso anno, il Papa scrive una lettera ai partecipanti del XIX Congresso internazionale dell'Associazione Internazionale di Diritto Penale e al III Congresso dell'Associazione Latinoamericana di Diritto Penale e Criminologia, in cui si sofferma sull'asimmetria tra pena e illecito, poiché dice Francesco: «non si pone rimedio a un occhio o a un dente rotto rompendone un altro», oltrepassando l'idea della pena quale fine meramente retributivo che trova legittimità nell'arcaica legge del taglione: "occhio per occhio, dente per dente".

Papa Francesco, in sostanza, muovendosi dalla funzione della pena, presenta la possibilità di un passaggio dalla giustizia retributiva ad una riparativa, il cui modello da seguire è il "Buon Samaritano": «senza pensare a perseguire il colpevole perché si assuma le conseguenze del suo atto, assiste colui che è rimasto ferito gravemente sul ciglio della strada e si fa carico dei suoi bisogni».

Quindi, appare evidente che il modello di giustizia riparativa sia insito nelle basi dell'istituzione ecclesiale, come ci mostra il secolare Magistero della Chiesa Cattolica nello strumento della pena medicinale canonica.

In conclusione, vi sono tre elementi importanti che si delineano in questa analisi della risposta al male in relazione alla giustizia riparativa, facendo riferimento al Magistero della Chiesa e di Papa Francesco.

Prima di tutto, si delinea la volontà per la Chiesa di non rinunciare alla carità, dalla quale scaturisce l'impossibilità di vedere il prossimo quale nemico da combattere.

Poi, vi è la volontà di non rinunciare al primato dell'essere umano su i molteplici interessi sociali di difesa, sia individuale che collettiva.

In conclusione, la penetrazione della legittimità della sanzione da parte degli ordinamenti giuridici, in quella visione rieducativa della pena che riconosce al soggetto condannato il diritto di vedersi dare un'altra possibilità, la quale determina una profonda rielaborazione degli assiomi che giustificano il diritto penale nell'attualità storica.

Da questo terzo aspetto emerge in generale, anche per la Santa Madre Chiesa, il problema della pena, e molto coerentemente gli studiosi ecclesiali di questa tematica evidenziano come tale sfida debba prendere avvio dall'idea che l'alternativa al male non è la ritorsione ma piuttosto il perseguimento del bene.

La pena dunque, anche se è una indispensabile reazione al crimine, deve servire a ricomporre le ferite prodotte dal reato e a consentire di procedere verso il bene di tutti i soggetti coinvolti nella relazione da giudicare, vittima e carnefice.

© 2023 Manuel Gregori. Tutti i diritti riservati.
Creato con Webnode
Crea il tuo sito web gratis! Questo sito è stato creato con Webnode. Crea il tuo sito gratuito oggi stesso! Inizia